Je vais être Audrey Hepburn ou rien

11/05/10



Io, Socrate e la filosofia


E’ così, io amo la filosofia e gli animali.


Io amo gli animali.

Io amo il mio cane.

Il mio cane è un filosofo.

Io amo la filosofia.


Lo sguardo tanto innocente quanto tenero. Gli occhi tondi, contornati da una linea nera, vagamente somigliante all’effetto dell’ eye liner. Barba rossa, nero come la pece. Vocione, in verità, poco possente. Non so perché, ma ho come la vaga impressione che se il mio cane dovesse essere paragonato ad un personaggio della letteratura, allora quello dovrebbe essere Otello, il geloso, il moro.


Accarezzo Penelope- l’altro cane- e lui, abbaia.

Mi avvicino al gatto e lui, abbaia.

Do un bacio a mamma e lui, abbaia.

Torno a casa, saluto accidentalmente prima la sorella e poi lui e quello, manco a dirlo, abbaia.


Geloso.

Mi abbaia perché non l’ho guardato con il dovuto rispetto.

Per rasserenarlo lo porto a scarpinare un po’ nei pressi dei giardini poco distanti da casa mia. Notando la sua cura quasi patetica nel suo dover assolutamente segnare il territorio, mi trascina in giro per tutti il quartiere, tirando la catenella come un matto e ansimando con la lingua a penzoloni. Si placa solo dopo due giri attorno al primo isolato, ormai certo che due quarti della zona sia sotto il suo patrimonio canino.


Lasciandolo fare, mi soffermo sul suo aspetto fisico, valutando con occhio critico quella bestiola che trotterella allegra davanti a me. Asciutto, muscoloso, con il musetto un po’ arruffato e le punte dei baffi rosse.

Contemplo la tanto agognata bellezza che a suo tempo, durante il mio periodo in quanto iniziata di filosofia, mia aveva fatto sudare sette camicie, grazie ai discorsi di Platone.

Platone. Il mondo delle idee.

Orrore.

Da Nietzscheana quale sono, non posso che avere un moto di stizza ripensando a tutte quelle riletture fatte, abominevoli e tremendamente errate dai classici ignoranti a riguardo.

Immersa come un biscotto nel latte, dopo aver assorbito ben bene la cultura occidentale, mi trovo a viaggiare in maniera sregolata da un pensiero all’altro, partendo dalla semplice contemplazione del mio cane.

Contemplazione.

E avanti così.


Tornata a casa, sciolto il vincolo tra me e il mio cane, lo lascio libero di scorrazzare per la casa, sino a quando, con tanto di sgommata pendente verso destra, quello con un balzo non salta sulla poltrona colonizzata dai suoi peli.

“Siediti e fai il bravo.”

Naturalmente, non mi ascolta, ma stando in piedi mi guarda in religioso silenzio.


Ho la conferma che il mio cane sia un filosofo che, non solo s’illude sul suo primato in quanto cane di zona, scordandosi di tutti i rotweiler che circolano a manca e dritta a sua insaputa, ma pure si fa beffe di me, ricordandomi che è di sua iniziativa e per sua sola volontà che prenderà la decisione di sedersi. Per fare il bravo, d’altra parte, non occorre stare seduto.


Non fa una grinza il suo discorso. Si, il mio cane è proprio un filosofo.

Non potrebbe essere altrimenti, dato che il suo nome è Socrate.









28/04/10

Lire m’aide à vivre


Souvent mes parents et mes amis me demandent pourquoi j'aime lire et qu'est ce que je trouve d' intriguant dans quelques pages. Souvent je leur dit que la lecture n'est pas seulement un plaisir, mais aussi un moyen de vivre ma vie. De que j'était petite j'aime les histoire d'aventure ou bien de magie, mais c'est grâce à un exercice quotidien que j'ai trouvé des amis dans les livres et dans les grands du passé des bons conseilleurs. Nietzsche disait que on est tous les noms du notre passé, donc dans une société comme la notre, où plusieurs fois on oublie ce qu'on veut vraiment, c'est important trouver le temps pour réfléchir sur notre vie. Notre vie formée par passé présent et avenir. Une conception nait grâce à Proust et Bergson, grâce à Joyce et d'autres, personnes que ont trouvé leur conception de vie et temps. Notre problème, au contraire c'est lequel de n'avoir pas une idée précise sur ce que vivre signifie. Proust trouvait sa vrai vie dans l'art, Bergson en analysant le temps trouvait une nouvelle conception, Joyce aussi..et nous? Nous sommes pris de notre vie quotidienne: l'école, le travail, la famille, les rendez vous et nous oublions tout ce qui passe très vite du notre côté: notre vie.

Vous me demandez pourquoi je parle de littérature et de ma vie?

Parce que lire un livre, n'est pas seulement un action passive, car quand on lit un livre on peut le vivre.

Dans une réalité où plusieurs points de vue vivent ensemble, c'est intéressant et fascinant lire aussi les autres considérations et voir d'une autre perspective, loin ou près de la notre.

Céline pensait que la vie serait tout, Proust pensait que on devrait retrouver le temps passé, Baudelaire disait que seulement le poète pourrait comprendre les correspondances entre les deux mondes.

Lire m'aide à vivre car les mots me disent et me parlent. Derrière à tout ça on a notre monde: le monde occidental, le monde passé, vécu par tous les hommes. Toutefois c'est difficile de comprendre tout, et aussi de vivre, mais grâce à ceux qu'ont déjà vécu on peut trouver force, motivations et conseils.


18/04/10

In Alice's hole






How is it possible to start speaking about a book that is not a book?
How is it possible to give an interpretation of something that anybody read and understand in a different way?
I’ll start from here, from this non sense, which is going to be one of the principles in Alice’s World.

Many are the explanations gave during the nineteen century and this is a proof that Alice in Wonderland can’t be interpreted. The real problem is that people have different way of thinking the World and the Reality and, as first thing, that this is a book neither for children nor for adults.

Starting from these considerations, there can be hundred and thousand of other critics, suggestions and debates which can’t say the truth about Alice’s adventures, because in the world she showed us , with her fantasy and free assotiations, all of them are corrects, nothing is true and nothing is wrong.
Lewis Carroll won’t give us a standard reality, or a sensible and logical truth. He just describe a world sees with child’s eyes, a perspetions that growing up, we always lose.

Alice in Wonderland is a break-limit book which devellope an adventure in a dreaming dimension, not far away from one that a normal kid can have during the night.

How wonderful

17/04/10

NarTube - Beauty and the Beast Instrumental Music - Prologue watch video, clips, musics, movies, films, fragman, free, video izle, diziler, klipler, f

NarTube - Beauty and the Beast Instrumental Music - Prologue watch video, clips, musics, movies, films, fragman, free, video izle, diziler, klipler, filmler, sinema, bedava, ücretsiz, müzik

Quand la music rencontre la magie

Trovandosi davanti ad una richiesta simile- ossia descrivere ciò che rende un uomo sradicato- mi sono arrovellata parecchio; libri, documenti, storie sentite e risentite. Un tema che assorbe parte dei miei pensieri a riguardo. Mille lampi che sono scoppiati d’improvviso e che ho provato a riassumere in poche righe. Una tematica che è riuscita a rapire del tutto la mia attenzione. Proprio perché non è raro trovare anche al giorno d’oggi questi uomini senza radici, solo che non ce ne rendiamo conto.

Non sempre “essere sradicato” significa “ricerca”. Questo in quanto per la morale comune la parola “privo di radici” assume una connotazione negativa, riferita ad una persona che si è persa, incapace di sentirsi parte di qualcosa o di provenienza lontana. Lo stesso identico valore, più simile ad una morale di vita, che seguiva Padron ‘Ntoni, diverso da quello dell’omonimo nipote che si sentiva limitato nell’orizzonte del paesino siciliano. Lo status di sradicato, in realtà, può essere una scelta consapevole, sensata e più pragmatica di quello che si può pensare.

La parola sradicato, potrebbe essere sottilmente collegata a quella di straniero. Essere definito tale significa sapersi realizzare e saper vivere appieno senza fuggire, nonostante il timore e la paura. Questa sensazione non è che un’esigenza che si manifesta nel voler essere diversi, anticonformisti, un impulso dunque che può nascere ora dal rigetto nei confronti di una società deludente, ora da una sensazione di vuoto, ora da un’insofferenza verso tutto ciò che ci impedisce di vedere con i nostri occhi, limitandola. Chagal dipinge lo sradicato come una persona che desidera ardentemente “rivelarsi”. Lui stesso ammette: “Non vorrei essere uguale a tutti gli altri”.Egli vuole vivere alla sua maniera, vuole essere unico e irripetibile.

Essere sradicato vuol dire essere una persona distinta, essere: “uno, nessuno e centomila.”Pirandello scrive questo pensando ad un “giuoco delle parti”, partendo da una cosa insignificante, quale può essere una semplice osservazione, per poi ampliare il discorso facendoci capire che la persona sradicata è una maschera, un attore che cambia di ruolo.

Per diventare tale, occorre tuttavia scardinare ciò che le nostre radici rappresentano. Un agire che malgrado tutto è costruttivo e non distruttivo. Dice Claudio Antonelli: “Invecchiando il passato acquista un rilievo più forte, mentre il presente- come dire- si attenua e si rarefà”.Un pensiero, se così si può definire, piuttosto tradizionale e pessimista, il classico ricordo del “mos maiorum”, caro, a quanto pare, alle persone di una certa età. Lo sradicato al contrario concepisce passato e presente non più in maniera lineare ma circolare.

Lo sradicato può definirsi la personificazione dell’übermensch, dell’oltre uomo, del fanciullo nietzseschiano che sa ridere e sa accettare la teoria dell’eterno ritorno, quindi del continuo rivivere il passato. Le radici dello sradicato ci sono, eccome, con la differenza che esse non sono ancorate perennemente. Mattia Pascal potrebbe essere un’interessante figura chiave in un contesto del genere: egli sa di chiamarsi in tal modo nonostante si tratti solo di un ricordo passato, di una persona ormai defunta. Accetta questa sua condizione conscio del fatto che il nome, di per se, significa poco.Nietzsche delira mormorando “ siamo tutti i nomi della nostra storia”; Mattia Pascal ugualmente rimembra di quel suo tumultuoso passato e volta pagina, tenendo a mente quanto accaduto prima.Egli accetta tutti i nomi senza alcuna preferenza e questo lo rende staccato,un passo in avanti rispetto agli altri.

Rimane un’ultima domanda da porsi: dove vive lo sradicato? Ovunque, è la risposta più corretta. Non sapersi soli infatti significa più di quanto si possa immaginare, significa, secondo Pavese “sapere che nella terra c’è qualcosa di tuo.” L’ Étranger si risponderebbe allo stesso modo, con tutta probabilità. Ovunque c’è qualcosa che gli appartiene perché lo sradicato parla più lingue e, per dirla con Goethe, una persona è diversa tante volte quante sono le lingue che parla. Apolide o meglio cosmopolita, due concetti che nella mente dello sradicato coincidono. Arrivato a questo punto egli di può permettere di non avere documenti di identità. Il fanciullo che sa essere, parallelamente, totalmente insofferente e pienamente coinvolto nella realtà che lo circonda.

Lo sradicato è questo, in conclusione. Colui che sa essere al momento giusto mosca, fiore, donna o uomo e che quindi guarda il mondo da più prospettive. Le città per lui non sono che luoghi tra le quali può passare, camminare e dalle quali può allontanarsi per ritornare in un secondo momento. Essere sradicati non vuol dire cedere, mollare e disperarsi sentendo “nostalgia”.Lo sradicato è il “cavaliere inesistente” che sa dissolversi e rinascere di continuo, senza paura di andare avanti e scoprire nuove prospettive, nuove percezioni, nuove sensazioni. Senza paura di riviverle. Senza il timore di sentirsi solo: il tetto sotto cui vive è il cielo, il mondo la sua casa.

Generazione Mocciosa

I giovani leggono poco. Opinione diffusa e, semplicemente, dato di fatto.

Lo diceva pure Hemingway: “la metà degli italiani scrive; l’altra metà non legge.” E questo perché? Di motivazioni se ne possono trovare fin troppe. Alcuni sostengono che le cause di tale fenomeno risiedano nell’abbassamento del tasso di natalità e nel conseguente innalzamento dell’età media della popolazione: gli anziani sono meno scolarizzati rispetto alle nuove generazioni.

La verità invece è un’altra: non c’è interesse. E la colpa non è solo dei giovani: la loro crescita è infatti condizionata da vari fattori, a partire dalla famiglia, che, a quanto pare, non riesce a trasmettere il valore della lettura. La scuola, poi, certo non contribuisce sufficientemente a suscitare la curiosità degli studenti nei confronti dei libri. E’ vero anche che una passione c’è o non c’è, e si manifesta in un ragazzo fin dai primi anni di vita al di là del fatto che abbia ricevuto un insegnamento.

Quando un bambino viene a contatto con il libro, deve prima di tutto stabilire un buon rapporto con esso. L’assorbimento dei contenuti infatti avviene solo in un secondo momento. Nel caso la curiosità abbia catturato il piccolo, egli sarà in grado un po’ alla volta di divertirsi con letture di diversi generi e pure di recepire in maniera sempre più profonda il significato delle parole. Parte tutto da lì. La passione o il rigetto per la lettura si sviluppano durante l’infanzia. Tutto questo però ci accompagna fino alla fine, nella buona o nella cattiva sorte. Il non amare i libri porta a non amare leggere, da cui consegue il non leggere o il leggere poco e male per arrivare addirittura al non essere per niente informati.

La pigrizia conta? Spesse volte sì: guardando i risultati di alcune statistiche del 2006, si evince che quattro anni fa il 34,7% degli italiani non leggeva. Non mi si dica che era per mancanza di tempo: il tempo, volendo, si trova. Sempre. D’altra parte se andiamo a spulciare i sondaggi per vedere quali sono le letture più amate a casa nostra, non si può che rimanere esterrefatti: il giornale più letto è “La Gazzetta dello sport” con 400.000 copie vendute quotidianamente. Si consideri, poi, che una buona percentuale di giovani sta sull’”onda mocciosa”, ossia riescono a leggere soltanto Federico Moccia: lo scrittore di “Harmony” per adolescenti. Una tendenza che fa accapponare la pelle visto che, dopo cinque anni di superiori, l’esame di stato ci richiederebbe non solo solide basi culturali e ampie conoscenze, ma anche una coscienza critica che ci permetta di esprimere il nostro giudizio sulle cose che accadono. Un esame che dovrebbe considerare, di fatto, anche se siamo buoni cittadini. Altro che le storielle da quattro soldi sui giornali di gossip!

E’ inutile che proviamo a fare paragoni: la Polonia ci brucia con una percentuale di lettori nettamente superiore. Se pensiamo poi a un paese europeo membro del G8 quale la Gran Bretagna, scopriamo che là i giornali più letti sono il “Sun” e il “Daily Mirror”. Lettori stranieri… fatalità! Noi invece siamo costernati tra le sit-com americane le cui serie ci pervengono, doppiate, in ritardo di mesi e i telegiornali nei quali la seconda notizia è il prossimo matromonio tra Clooney e la Canalis.

Insomma, gli italiani non leggono e se leggono si tuffano su “Moccia”, “Cioè” e “ Le barzellette di Totti”. Nel tempo libero - che essi intendono come riposo assoluto – al massimo fanno zapping. Pensiamoci su e vediamo di uscire dalla casa del Grande Fratello. Fuori c’è un altro mondo che non sta certo ad aspettarci.